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lunedì 20 agosto 2012

Imprese e banche, la crisi detta un cambio di strategia

La crisi ha fatto emergere le criticità delle banche e delle imprese italiane, entrambe chiamate a rivedere in profondità strategie di crescita, cultura finanziaria e modo di relazionarsi reciproco.


Imprese in via di estinzione

Gli effetti che la crisi sta lasciando sulle PMI non sono uguali per tutte le imprese: dipendono, caso per caso, dalle caratteristiche e dalla storia aziendale.
Un primo gruppo – le ‘imprese dinosauro’ – è sostanzialmente in via di estinzione. Sono le aziende che la concorrenza aggressiva del Far East (ma anche di qualche altra parte del pianeta) ha soppiantato con facilità. Quel pezzo di economia reale che faceva capo a loro non c’è più e non è più, ragionevolmente, recuperabile.


Imprese solide ma… poco ‘liquide’

Poi ci sono le imprese solide dal punto di vista produttivo, a volte anche di pregio, ma poco capitalizzate: abituate a ricorrere al credito, oggi si trovano in difficoltà perché il costo dell’indebitamento è cresciuto sensibilmente e, non potendo contare su risorse proprie, rischiano di essere le più penalizzate.
Anche perché – proprio in questa fase in cui l’incertezza del costo del denaro, per non parlare della sua accessibilità, è quanto mai alta – per ‘tenere’ avrebbero bisogno di liquidità per esportare, sviluppare i mercati e sviluppare nuove strategie di business.


Piccoli campioni crescono

Altre PMI, altre caratteristiche: sono quelle cresciute lentamente, senza indebitarsi troppo, con prodotti sofisticati o tecnologicamente specializzati e dedicati. Sanno competere, nelle loro nicchie di mercato, con i grandi produttori, grazie a una specializzazione estetica o tecnologica focalizzata e distintiva.
Queste imprese non sono tutte uguali, ma quello che le distingue e le accomuna è l’approccio imprenditoriale equilibrato, finalizzato a sedimentare ricchezza professionale e finanziaria: un requisito fondamentale proprio per superare le fasi critiche.


Autofinanziamento, una marcia in più

Soprattutto oggi, infatti, la capacità di autofinanziamento da parte dell’impresa è un fattore chiave.
Da una parte, rappresenta quasi una necessità nei settori – a partire da quelli labour intensive – in cui il costo del credito supera di più del doppio la redditività dell’impresa stessa.
Dall’altra, è come una spia accesa sul cruscotto del sistema imprenditoriale italiano: segnala che è ora di percorrere strade di finanziamento diverse, alternative al credito bancario, partendo appunto da una patrimonializzazione aziendale robusta.


Banche con la memoria corta

E le banche? Come si stanno regolando? Intanto, hanno dimenticato “cos’è la finanza”, quella ‘cosa’ nata come fattore di sviluppo e di copertura, in piena sintonia con l’economia reale, nel tardo Medioevo. Quando, ad esempio, nelle città marinare i premi assicurativi erano basati sui rischi (reali) di affondamento dei vascelli (reali anche loro).
Col tempo, invece, le banche hanno ceduto all’ossessione della crescita: all’inseguimento di una finanza in cui gli algoritmi contavano più dei fatti, e l’economia era un’entità separata, hanno finito per generare bolle su bolle: la storia della finanza docet.

Oggi, poi, alla perdita di memoria si è unita la perdita della voglia – e della capacità – di ‘leggere’ le imprese: le banche hanno rinunciato a “conoscerne intimamente il rischio”, riducendolo a un semplice problema di gestione regolato dai meccanismi asettici di calcolo dei rating. In pratica, hanno delegato la valutazione del merito di credito a sistemi ‘senz’anima’. Che fine ha fatto, negli ultimi anni, la collaborazione banche-imprese su progetti reali?


I comportamenti fanno la differenza

Questo scenario – i comportamenti delle imprese da una parte e quello delle banche dall’altra, su cui la crisi ha acceso impietosamente i riflettori – affonda le sue radici in due ‘male culture’ che si possono spazzare via solo se entrambi i soggetti si decideranno a innescare processi virtuosi.
Le banche devono capire che la capacità di avere una visione prospettica dell’impresa, e quindi della conoscenza diretta del rischio, è il loro mestiere: è su questa base, infatti, che dovrebbero proporre forme di collaborazione che somiglino molto alle joint venture, garantendo come qualsiasi buon socio tempi certi di risposta e di erogazione delle risorse.

Agli imprenditori toccano, invece, iniezioni massicce di trasparenza, nel DNA prima ancora che nella rendicontazione: raccontare i loro progetti fino in fondo e senza remore, segnalando le opportunità senza nascondere i punti critici, è il modo migliore per mettere il partner bancario nella condizione di decidere se e come intervenire.

 

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