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mercoledì 31 marzo 2010

Simone Perotti: Ho preso il largo, come cambiare vita a quarant'anni


di Simone Perotti

Quel che ho provato quel 13 febbraio 2008, primo giorno da uomo libero, non si può facilmente descrivere. Leggerezza, forse, tremore, giramento di testa, come per problemi di altitudine, vuoto allo stomaco, spossatezza, seminfermità, desiderio di andare, bisogno di prendere fiato. Intorno avevo una bolla d’aria rarefatta. I miei alveoli mi parevano branchie, ma senz’acqua in cui succhiare. Eppure, questa sorta d’asfissia era benefica: la scoperta, per il pesce, che fuor d’acqua non moriva, neppure pativa, anzi nuotava per un’altra vita. Quando ho iniziato a lavorare credevo nell’impresa, mi sembrava una delle ruote dell’ingranaggio della società. Le imprese crescevano, creavano impiegati, li formavano, cittadini evoluti che davano il loro contributo. Però poi i grandi scandali, la corruzione su vasta scala, politica e imprenditoriale, Tangentopoli, Cirio, Parmalat, l’evidenza che parole come «human resources», «mission», «team building» erano abili etichette per coprire sfruttamento e aridità del sistema, beh, ecco, tutto questo mi ha messo in crisi. Essere quarantenni negli anni del crollo di valori e finanza si è rivelato durissimo. Quasi impossibile crederci davvero. Impossibile vedere nei prossimi anni lo stesso sviluppo che avevamo come carota qualche anno fa, mentre correvamo dietro al benessere. Meno posti, per meno gente, con meno benefici. E poi l’età, lo spietato momento che sempre giunge, quello in cui capisci i tuoi limiti, il livello oltre al quale non potrai mai andare. È stato questo, esattamente questo, il momento della crisi.

mercoledì 17 marzo 2010

Lo chiamano Made in Italy


di Stefano Lorenzetto

Lo chiamano made in Italy, ma è più sfatto che fatto. Diciamo pure marcio. In cima alla scala ci sono i signori della moda. Venerati e intoccabili: ci mettono la faccia. Un gradino sotto stanno i terzisti. Carne da macello: ci mettono il sangue. Giancarlo De Bortoli, 61 anni, titolare della Herry's confezioni di Pramaggiore, dove il Veneto sfuma in Friuli, era un terzista. Lo hanno vampirizzato:

«Sto portando i libri in tribunale. Il mio mondo finisce qui. Avrei dovuto smettere prima. Ho resistito fino all'ultimo per le dipendenti, che erano la mia famiglia. È stato tutto inutile. Sia ben chiaro: non è colpa né del governo, né delle banche. Sono stati gli stilisti a strangolarmi, lentamente ma inesorabilmente. E allora mi sono detto: dichiara fallimento da solo, Giancarlo, cadi con onore, non farti mettere i sigilli di ceralacca dall'ufficiale giudiziario».

De Bortoli un fallito? Com'è possibile, in nome del cielo? Sa fare come pochi il suo mestiere, ha sempre sgobbato 12 ore al giorno, praticava prezzi concorrenziali, era arrivato a produrre 20.000 capi l'anno, non contraeva debiti, non s'è arricchito, era oculato, pagava regolarmente gli stipendi, versava i contributi previdenziali, non evadeva le tasse, nello stabilimento aveva messo per le sue operaie il climatizzatore e l'impianto stereo. Che altro ancora si può chiedere a un imprenditore? Spiegatemelo voi.

Io lo conoscevo bene Giancarlo De Bortoli. Era uno dei migliori su piazza, fidatevi. Faceva le camicie su misura persino per i 9 piloti della flotta aerea privata dei Benetton. Pochi riuscivano a lavorare la seta, il raso, lo chiffon, la crêpe georgette come lui. Ma nessuno doveva sapere che dalla sua fabbrica uscivano i capi d'alta moda per signora con cucite sopra le etichette delle più grandi maison d'Italia: Gucci, Prada, Max Mara, Miu Miu, Etro, Sportmax, Costume National, Duca d'Aosta, Cividini.

giovedì 11 marzo 2010

Il più grande Attacco Valutario degli ultimi anni


di Pino Buongiorno e Marco De Martino

La cena si è tenuta alla Townhouse, una sala privata ed esclusiva creata dal ristorante Park avenue winter al numero 100 sulla 63ª strada di Manhattan, quasi all'incrocio con Park avenue. In questa fascia dell'Upper east side, il quartiere prediletto dai miliardari newyorkesi, la sera si vedono solo domestici che portano a spasso cani che annusano le limousine nere parcheggiate in doppia fila.

Fuori si annuncia una tempesta di neve che, da lì a poche ore, immobilizzerà New York, ma dentro quella palazzina si progetta la tempesta finanziaria che nelle prossime settimane potrebbe sconvolgere ancora una volta l'economia globale.

venerdì 5 marzo 2010

Il Potere del NO positivo

di William Ury

Ventisette anni fa scrissi insieme a Roger Fisher un libro intitolato Getting to Yes, incentrato su come giungere a un accordo che soddisfi le parti coinvolte in una negoziazione. penso che sia diventato un bestseller internazionale perché fa riflettere le persone sui principi del senso comune, che sicuramente conoscono ma che a volte dimenticano di applicare.
Sicuramente con il passare degli anni mi sono accorto che “arrivare al sì” non è solo la metà dell’equazione ma è anche la parte più facile. Come diceva uno dei miei clienti, presidente di un’azienda: “I miei collaboratori sanno come arrivare al sì, non è un problema. Ciò che riesce loro difficile è dire No”. O come segnalerà l’ex premier britannico Tony Blair: “L’arte della leadership non consiste nel dire Sì, ma nel dire No”.