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venerdì 5 giugno 2009

Gestione strategica d'impresa, un compito dei manager o dei commercialisti?

di Maurizio Siciliano


Abbiamo più volte parlato dei motivi che spingono un’azienda ad affidarsi ad una società di consulenza di direzione e strategica:la necessità di servirsi di professionisti, consulenti e manager per implementare nuovi sistemi, di reengenering dei processi industriali, di innovazioni e miglioramenti che riguardano prodotti, servizi e processi, nei casi in cui è necessario un avvicendamento generazionale, nei casi in cui è opportuno elevare il livello delle Risorse Umane, sviluppando e formando quelle esistenti e favorendo l’ingresso di nuovi talenti.

Generalmente l’aspettativa che la consulenza crea nei clienti è molto alta e coinvolge il miglioramento delle performance a tutti i livelli. Non a caso ogni consulente di management esperto e capace sa che il lavoro più difficile non è mai fare sottoscrivere ad un cliente un contratto di consulenza, ma essere capace di assecondare le aspettative che si creano e produrre miglioramenti duraturi. L’obiettivo della consulenza è, infatti, sempre quello di “creare valore” per l’azienda cliente.
A questo proposito e alla luce di quanto detto sopra sembra opportuno distinguere il lavoro di Gestione strategica e operativa di un’impresa dalla gestione d’impresa intesa in senso di informazione economica –finanziaria effettuata attraverso i classici modelli di bilancio, conto economico e stato patrimoniale. Questa distinzione è necessaria perché non poche volte, soprattutto nelle piccole e medie imprese ci siamo trovati di fronte a clienti che si sono affidati al commercialista per elaborare le loro strategie operative di medio-lungo periodo e per comprendere l’andamento dell’ impresa.
Secondo noi, invece, l’ azienda deve essere gestita dai manager e dagli imprenditori, mentre al commercialista e allo studio di contabilità spettano gli adempimenti tipici e peculiari della loro funzione.
Infatti, soprattutto oggi e anche per le piccole e medie aziende è insufficiente ed inefficace la gestione dell’ azienda che si basa sul bilancio, il conto economico e i consigli che lo studio di contabilità estrapola da questi documenti.
I documenti contabili, infatti, bilancio e conto economico, determinano il valore di un’ impresa attraverso quelli che vengono definiti in gergo “asset tangibili”. Ignorano il portafoglio clienti, il valore del marchio, la percentuale di fidelizzazione dei clienti, la quota di mercato che l’azienda occupa rispetto ai competitor, le competenze manageriali dei dirigenti, le capacità delle Risorse Umane di generare valore attraverso conoscenze e competenze specifiche e la realizzazione di servizi e manufatti di indubbia originalità e valore per i mercati di riferimento, lo stile di organizzazione e il livello di management e altro ancora, che in gergo i manager amano definire “asset intangibili dell’ impresa”.
Senza scomodare Tom Peters e tutti i suoi scritti sul valore di un’ azienda, ormai è consolidata l’opinione che gli asset intangibili sono ricompresi in una percentuale che varia tra il 70% e l'80% del valore di un’ impresa e come tali diventano determinanti per la sua corretta gestione. Sorge una domanda: può il commercialista, attarverso il bilancio, il conto economico, il controllo di gestione monitorare il trend di crescita o meno di questi asset?! La risposta è ovviamente negativa.
Le informazioni relative al bilancio e al conto economico sono la fotografia di ciò che è già successo. Il bilancio in particolare si elabora a marzo- aprile dell’anno successivo a quello di esercizio e credo non ci voglia una esagerata competenza per capire che è improbabile gestire un’impresa guardando solo al bilancio. Potrebbe funzionare solo se fossimo l’unica azienda nell’universo o tutto intorno a noi fosse fermo, mentre in realtà i competitor corrono…
Inoltre, escluso il commercialista, il responsabile amministrativo e l’imprenditore in un’ azienda non sono tanti quelli in grado di saper leggere ed interpretare i documenti contabili. Lo stile di management che implementiamo noi in azienda prevede, invece, che le informazioni sui risultati dell’azienda e delle varie funzioni devono essere monitorate costantemente e comprensibili a tutti. Questo consente da un lato di stimolare tutti per il miglioramento delle proprie performance e dall’ altro di favorire il lavoro di team. Tutti devono lavorare perseguendo gli stessi obiettivi.
Last but not least, il documento contabile dal quale si evincono risultati non positivi per l’ azienda, mette in fibrillazione e stimola la più classica delle ricette a breve termine, spesso, ma non sempre, consigliata dal commercialista, ovvero il taglio dei costi.
Un management accorto e avveduto dovrebbe, invece, tenere sempre al primo posto gli obiettivi strategici di medio e lungo periodo, anche perché quando si tagliano i costi in genere si lavora sul taglio di ricerca e sviluppo, formazione, marketing strategico ed operativo e tagli del personale. Tutti asset intangibili che se tagliati indiscriminatamente, come di frequente ci è capitato di osservare, risolvono il problema nell’ immediato, ma distruggono il valore dell’impresa per il futuro.
Potrei continuare con ulteriori argomenti, ma non vorrei sembrare polemico o creare un’artificiosa contrapposizione manager-consulente di direzione contro commercialista- studio di contabilità; è evidente anche a noi che i risultati economico-finanziari di un’ azienda sono importantissimi, ma, non sono sufficienti nella gestione strategico-operativa della stessa.
I documenti contabili ed il controllo di gestione devono essere il risultato di un complesso processo manageriale, impostato da manager di provata esperienza o consulenti di direzione con alta cultura manageriale, che al giorno d’oggi deve avere come obiettivo di inserire i prodotti e i servizi dell’azienda nel segmento “Premium” con clienti soddisfatti e disposti a pagare anche un prezzo più alto rispetto alla concorrenza per il valore ed il servizio offerto, di produrre ai costi più competitivi e di investire in formazione, ricerca e sviluppo curando la crescita delle Risorse Umane esistenti e la loro motivazione e cercando di conseguenza di atrarre Talenti che permettano ulteriori salti qualitativi.
Queste attività necessitano di una gestione manageriale costante ed attenta a monitorare i risultati che devono essere spinti verso livelli positivi ed in linea con gli obiettivi strategici che l’ impresa si è data nel medio-lungo periodo.

3 commenti:

Paolo Minguzzi ha detto...

Caro Maurizio, quando scrivi "Un management accorto e avveduto dovrebbe tenere sempre al primo posto gli obiettivi strategici di medio e lungo periodo (...) distruggono il valore dell'impresa per il futuro", condensi in un capoverso l'essenza e la ragion d'essere della gestione degli intangibles nelle organizzazioni. Sono cose che condivido al 100% e che ormai da dieci anni mi capita ogni tanto di ripetere nelle mie presentazioni del knowledge management. Suscitando ogni volta la stessa reazione negli ascoltatori: occhi sgranati e labbro inferiore pendulo.

Anonimo ha detto...

Ti capisco...D' altronde finche nelle università e nelle scuole di management, si insegna quello che non serve è evidente che l' uditorio rimanga stordito...MS

BEn ha detto...

il problema non credo stia in ciò che si impara all'università o nei corsi-parcheggio per neo laureati. sta nella rigidità di alcuni professionisti, spesso con anni di esperienza alle spalle, che ancora si muovono in azienda con la presunzione di piegare le particolarità che si trovano a voler gestire ai case study studiati durante i seminari univeristari. La capacità di accompagnare il cambiamento con competenza e la flessibilità che è necessaria per intervenire nei processi senza creare fratture deve essere il principio guida di chi si muove in contesti competitivi. Invece oggi capita spesso di incontrare personaggi cui viene riconosciuta competenza non per la capacità REALE di dare soluzioni REALI a problemi cogenti, ma perchè rappresentano un'opportunità imperdibile per chi cerca scorciatoie, per tutti quelli che fanno fatica a stare di fronte agli errori generati da mala gestio e che malvolentieri si allineano su manager che disegnano soluzioni improntate su assunzioni di responsabilità e duro lavoro.

Esiste un professionista tipo per ogni modello di azienda? no, credo esistano professionisti che hanno ben presente il concetto di responsabilità e personaggi che lavorano alla giornata, che incrociano le dita pensando che c'è sempre tempo per sistemare le cose.
Ma il metronomo del mercato batte incessantemente il ritmo, e chi è in ritardo può scegliere se fare sacrifici e allinearsi, o rimanere fuori scala in attesa dell'estromissione dal coro.