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venerdì 12 aprile 2013

La scelta della Germania

di George Soros


FRANCOFORTE – La crisi dell’euro ha già trasformato l’Unione europea da associazione volontaria di Stati alla pari a una relazione creditori-debitori da cui non è facile scappare.
I creditori sono destinati a perdere ingenti somme qualora uno Stato membro uscisse dall’unione, eppure i debitori sono soggetti a politiche che peggiorano la loro depressione, aggravano il loro peso debitorio e prolungano la loro posizione di subordinazione. Di conseguenza, la crisi ora minaccia di distruggere l’Unione europea. Sarebbe una tragedia di proporzioni storiche, che può essere evitato solo con la leadership della Germania.

Le cause della crisi non possono essere comprese appieno senza riconoscere il difetto fatale dell’euro: creando una banca centrale indipendente, i Paesi membri si sono indebitati in una valuta che non controllano. Innanzitutto, sia le autorità che i partecipanti al mercato hanno trattato tutti i titoli di stato come se fossero senza rischio, creando un incentivo perverso per le banche di accumulare titoli deboli. Quando la crisi greca ha sollevato lo spettro del default, i mercati finanziari hanno reagito senza mezzi termini, relegando tutti i Paesi membri dell’Eurozona altamente indebitati allo status di Paese del Terzo mondo iper-indebitato in una moneta estera. Successivamente, i Paesi membri pesantemente indebitati sono stati trattati come se fossero gli unici responsabili delle loro sventure, e il difetto strutturale dell’euro non fu corretto.

Una volta compreso questo, la soluzione praticamente viene da se. Può essere riassunta in un’unica parola: eurobond.

Se i Paesi che si attengono al nuovo Fiscal Compact dell’Ue potessero convertire l’intero stock di titoli di stato in eurobond, l’impatto positivo rasenterebbe il miracolo. Il pericolo di default svanirebbe, e così i premi sul rischio. I bilanci delle banche riceverebbero un incentivo immediato, e così anche i bilanci dei Paesi altamente indebitati.

L’Italia, ad esempio, risparmierebbe il quattro percento del Pil; il suo bilancio si trasformerebbe in surplus e gli stimoli fiscali sostituirebbero l’austerità. Di conseguenza, la sua economia crescerebbe e il debt ratio scenderebbe. Gran parte dei problemi apparentemente intrattabili svanirebbe nel nulla. Sarebbe come svegliarsi da un incubo.

In accordo con il Fiscal Compact, i Paesi membri potrebbero mettere nuovi bond solo per sostituire quelli in scadenza; dopo cinque anni, i debiti scaduti sarebbero gradualmente ridotti al 60% del Pil. Se un Paese membro incorresse in altri debiti, potrebbe contrarre prestiti solo a nome proprio. Certamente, il Fiscal Compact necessita di alcune modifiche per garantire che le sanzioni per l’inosservanza siano automatiche, tempestive e non troppo severe per essere credibili.

Quindi, gli eurobond non rovinerebbero quindi il rating di credito della Germania. Anzi, reggerebbero bene il confronto con i bond degli Stati Uniti, del Regno Unito e del Giappone.

Certamente gli eurobond non sono una panacea. L’incentivo proveniente dagli eurobond potrebbe non essere sufficiente per garantire la ripresa, quindi potrebbero servire altri incentivi fiscali e/o monetari. Sarebbe un lusso però avere questo tipo di problema. Il fatto più preoccupante è che gli eurobond non eliminerebbero le divergenze di competitività. I singoli Paesi dovrebbero ancora intraprendere le riforme strutturali. L’Ue necessita altresì di un’unione bancaria per rendere il credito disponibili a parità di condizioni in ogni Paese. (Il salvataggio di Cipro ha reso questa necessità più pressante rendendo ancora più forti le sperequazioni). Ma l’accettazione degli eurobond da parte della Germania trasformerebbe l’atmosfera e agevolerebbe le riforme necessarie.

Sfortunatamente, la Germania è fermamente contraria agli eurobond. Da quando la cancelliera Angela Merkel ha posto il veto, quest’idea non è nemmeno stata presa in considerazione. I tedeschi non comprendono che accettare gli eurobond sarebbe nettamente meno rischioso e costoso che continuare a fare solo il minimo indispensabile per preservare l’euro.

La Germania ha diritto di rifiutare gli eurobond. Ma non ha diritto di evitare che i Paesi altamente indebitati scappino dalla loro miseria aggregandosi ed emettendo eurobond. Se la Germania si oppone agli eurobond, dovrebbe prendere in considerazione l’idea di lasciare l’euro. Sorprendentemente, gli eurobond emessi da un’Eurozona senza la Germania reggerebbero ancora bene il confronto con le obbligazioni americane, inglesi e giapponesi.

La ragione è semplice. Dal momento che tutto il debito accumulato è denominato in euro, la differenza la fa quale Paese lascia l’euro. Se la Germania dovesse abbandonare, l’euro si deprezzerebbe. I Paesi debitori riguadagnerebbero competitività. Il loro debito diminuirebbe in termini reali e, se emettessero eurobond, la minaccia di default svanirebbe. Il debito diverrebbe improvvisamente sostenibile.

Allo stesso tempo, gran parte del peso dell’aggiustamento ricadrebbe sui Paesi che hanno lasciato l’euro. Le loro esportazioni diverrebbero meno competitive e incontrerebbero una pesante concorrenza dall’area euro nei loro mercati nazionali. Subirebbero altresì perdite sui loro titoli e investimenti denominati in euro.

Se invece fosse l’Italia ad abbandonare l’Eurozona, il suo debito denominato in euro diverrebbe insostenibile e andrebbe ristrutturato, gettando il sistema finanziario globale nel caos. Quindi, se qualcuno deve lasciare, quel qualcuno dovrebbe essere la Germania, e non l’Italia.

È necessario che la Germania scelga definitivamente se accettare gli eurobond o lasciare l’euro, ma è meno ovvio quale delle due alternative sarebbe meglio per il Paese. Solo l’elettorato tedesco è in grado di decidere.

Se fosse indetto oggi un referendum, i sostenitori di un’uscita dall’Eurozona vincerebbero a mani basse. Ma una più approfondita considerazione potrebbe cambiare l’opinione delle persone. Scoprirebbero che il prezzo da pagare in caso di accettazione degli eurobond da parte della Germania è stato ingigantito e il prezzo per l’uscita dall’euro minimizzato.

Il problema è che la Germania non è stata indotta a scegliere. Può continuare a fare non più del minimo indispensabile per preservare l’euro. Questa è chiaramente la scelta preferita della Merkel, almeno fino alla fine delle prossime elezioni.

L’Europa starebbe infinitamente meglio se la Germania scegliesse definitivamente tra eurobond e uscita dall’Eurozona, a prescindere dal risultato; in effetti, anche la Germania starebbe meglio. La situazione sta peggiorando e alla lunga è destinata a diventare insostenibile. Una disintegrazione disordinata derivante da reciproche recriminazioni e dichiarazioni incerte lascerebbe l’Europa in una situazione peggiore rispetto al periodo di avvio dell’ambizioso esperimento dell’unificazione. Certamente questo non è nell’interesse della Germania.

Traduzione di Simona Polverino



Tratto da Project Syndacate

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