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martedì 26 gennaio 2010

Bamboccioni, cioè giovani né né









di Luca Ricolfi


Periodicamente il problema dei «bamboccioni» si ripropone, non solo in Italia. Qualcuno, ingenuamente, potrebbe credere che sia un problema relativamente recente quello dei figli che restano nella casa dei genitori ben oltre la maggiore età, a volte anche fino a 30, 35 o addirittura 40 anni.
In effetti l’espressione bamboccioni fu coniata appena tre anni fa, per l’esattezza il 4 ottobre 2007, dall’allora ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa che, per motivare le agevolazioni fiscali ai giovani con abitazione in affitto disposte dal governo Prodi, non trovò di meglio che dire: «Così mandiamo i bamboccioni fuori casa». Ma già allora il problema aveva una lunga storia.
Sei anni prima, nel 2001, era uscito in Francia il film-commedia Tanguy, che descriveva le abitudini di un 28enne, ormai prossimo alla laurea ma fermamente determinato a procrastinare a tempo indeterminato la permanenza in famiglia. E ancora prima, molto prima, nel lontano 1988, Virna Lisi e Catherine Spaak avevano interpretato una brillante serie televisiva significativamente intitolata …E non se ne vogliono andare, che finiva con lui e lei (i genitori invasi da un esercito di figli, amici e amanti dei figli) che si salvano prendendo una romantica soffitta per ritrovare un minimo di privacy e intimità.
Dunque il problema è vecchio. E che l’abbia risollevato il ministro Renato Brunetta con la proposta, chiaramente provocatoria, di una legge che obblighi le famiglie a mandare fuori casa i figli al compimento del 18esimo anno di età non può sorprendere più di tanto. Quel che però è forse cambiato, rispetto ad allora, è la gravità della posizione dell’Italia. Che non solo si ritrova con una quota spropositata di giovani ed ex giovani che «non se ne vogliono andare» (vedere il grafico), ma anche con un mercato del lavoro del tutto cambiato, specie dopo la grande crisi del 2007-2009.
Caratteristica essenziale di tale mercato è che la maggior parte dei nuovi posti di lavoro è a bassa o media qualificazione, a fronte di un’offerta di lavoro che aspira a posti a qualificazione alta o medio-alta. La conseguenza è che gli immigrati, che si accontentano di posti modesti, trovano ancora lavoro, mentre i giovani italiani, che aspirano a posti di rango più elevato, non trovandoli preferiscono restare sotto l’ala protettiva della famiglia di origine. Di qui la proliferazione dei Tanguy, o bamboccioni, che indignano Brunetta e non hanno alcuna intenzione di seguirne i consigli.
Perché siamo arrivati a questo punto? In parte per le ragioni che ricorda il ministro, prima fra tutte l’ostinazione con cui tutti, politici, sindacalisti e grandi imprese, hanno difeso un mercato del lavoro e un sistema di relazioni industriali che iperprotegge i forti (impiegati pubblici e dipendenti delle grandi imprese) e dimentica i deboli, ossia donne, giovani, precari.
Ma in parte anche per una ragione più basilare: il livello di qualificazione della nostra forza lavoro è bassissimo, sia nel senso che ci sono pochi laureati e diplomati, sia nel senso che il livello di preparazione dei nostri studenti è assai modesto, come i test Pisa da anni certificano. Questo deficit di capitale umano innesca un circolo vizioso: i giovani non trovano lavoro perché non accettano posti di basso livello, ma i posti di alto livello non si creano anche perché i giovani sono poco qualificati.
E i giovani sono poco qualificati sia perché scuola e università hanno più o meno consapevolmente (e colpevolmente) abbassato gli standard, sia perché i giovani stessi e le loro famiglie hanno instaurato uno strano regime, in cui è possibile prolungare indefinitamente gli studi, laureandosi a qualsiasi età, e persino evitare sia il lavoro sia lo studio. Fra i molti tristi primati che l’Italia detiene c’è anche quello dei «giovani né né»: ragazzi che né lavorano né studiano, rinchiusi nella prigione dorata degli affetti familiari.

(Tratto Da Panorama del 25.01.10)

2 commenti:

doctor who ha detto...

Da addetto ai lavori in ambito gestione risorse umane,concordo con il prof. Ricolfi circa l' ultima parte della sua denuncia: gli standard sono bassissimi e tutti vogliono lavori iperqualificati a fronte di una preparazione inesistente e di una esperienza irrisoria. Bisognerebbe tornare a qualificare istruzione ed esperienze con un sano innalzamento degli standard e della disciplina...ma credo sia tutto fiato sprecato...

michele strogoff ha detto...

macchè bamboccioni!! questo brunetta è una vergogna. e ricolfi poi...ma lui non è docente universitario?! Non è uno di quelli che dovrebbero insegnare gli standard o vive sulla luna??