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mercoledì 6 febbraio 2013

La Nuova Sfida Mercantilista

di Dani Rodrik

CAMBRIDGE – La storia dell’economia è in gran parte una lotta tra due opposte scuole di pensiero "liberismo" e "mercantilismo". Il liberalismo economico, con la sua enfasi sull’imprenditoria privata e il libero mercato, è la dottrina oggi dominante.
Ma la sua vittoria intellettuale ci ha reso ciechi riguardo al grande fascino - e al frequente successo -delle pratiche mercantilistiche. In realtà, il mercantilismo rimane vivo e vegeto, ed è probabile che il suo continuo conflitto con il liberalismo sia una delle forze più importanti a influenzare il futuro dell’economia globale.
Oggi il mercantilismo viene in genere liquidato come un insieme arcaico e palesemente erroneo di idee sulla politica economica. E di certo, nel loro periodo di massimo splendore, i mercantilisti hanno sostenuto alcune teorie molto strane, prima tra queste l’idea che la politica nazionale dovrebbe essere guidata dall’accumulazione di metalli preziosi - oro e argento.
Il trattato di Adam Smith del 1776, The Wealth of Nations, ha magistralmente demolito molte di queste idee. Smith ha dimostrato, in particolare, che il denaro non deve essere confuso con la ricchezza. Come egli ha dichiarato, "la ricchezza di un paese non consiste solo nel suo oro e nel suo argento, ma nelle sue terre, le sue case e nei beni di consumo di tutti i tipi".
Ma è più corretto pensare al mercantilismo come ad un modo diverso di organizzare il rapporto tra lo Stato e l’economia - una visione che oggi non possiede una minore rilevanza di quanto l’avesse nel XVIII secolo. I teorici mercantilisti, come Thomas Mun, erano in realtà forti sostenitori del capitalismo; essi proposero solo un modello diverso da quello del liberalismo economico.
Il modello liberista vede lo Stato come necessariamente predatore e il settore privato intrinsecamente in cerca di rendite. Così tale modello sostiene una netta separazione tra lo Stato e le imprese private. Il mercantilismo, al contrario, offre una visione corporativa in cui lo Stato e le imprese private sono alleati e collaborano nel perseguimento di obiettivi comuni, come la crescita economica interna o il potere nazionale.
Il modello mercantilista può essere deriso come modello di capitalismo di Stato o di clientelismo. Ma, come è spesso avvenuto in Asia, quando il modello della "collaborazione governo-impresa" o dello "stato pro-impresa" funziona, guadagna subito lodi sperticate. Le economie in ritardo di sviluppo non hanno mancato di notare che il mercantilismo può essere loro amico. Anche in Gran Bretagna, il liberalismo classico è arrivato solo nella metà del XIX secolo - cioè dopo che il paese era diventato la potenza industriale dominante nel mondo.
Una seconda differenza tra i due modelli consiste nel privilegiare gli interessi dei consumatori oppure quelli dei produttori. Per i liberisti, il consumatore è sovrano. L’obiettivo ultimo della politica economica è quello di aumentare il potenziale dei consumi delle famiglie, il che richiede di dar loro libero accesso a beni e servizi il più possibile economici.
I mercantilisti, invece, ritengono che il lato produttivo dell’economia sia più importante. Per loro, una solida economia richiede una solida struttura produttiva e il consumo ha bisogno di essere sostenuto da un livello occupazionale elevato e salari adeguati.
Questi modelli diversi hanno implicazioni prevedibili per le politiche economiche internazionali. La logica dell'’approccio liberista è che i benefici economici del commercio derivano dalle importazioni: tanto meglio quanto più economiche sono le importazioni, anche se il risultato è un deficit commerciale. I mercantilisti, d’altra parte, vedono lo scambio commerciale come uno strumento di sostegno alla produzione interna e all’occupazione e preferiscono stimolare le esportazioni piuttosto che le importazioni.
Oggi la Cina è il principale portatore della torcia mercantilista, anche se i leader cinesi non lo ammetterebbero mai – al termine è legata un’infamia ancora troppo grande. Gran parte del miracolo economico della Cina è il prodotto di un governo attivista che ha sostenuto, stimolato, e apertamente sovvenzionato i produttori industriali - sia nazionali che esteri.
Anche se la Cina ha eliminato molte delle sovvenzioni esplicite all’esportazione, come condizione per l’adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio (a cui ha aderito nel 2001), il sistema di supporto mercantilistico resta ampiamente in atto. In particolare, il governo ha gestito il tasso di cambio per mantenere la redditività dei costruttori, determinando un consistente surplus commerciale (che è sceso da poco, ma in gran parte a causa di un rallentamento economico). Inoltre, le imprese esportatrici continuano a beneficiare di una serie di incentivi fiscali.
Dal punto di vista liberista, queste sovvenzioni alle esportazioni impoveriscono i consumatori cinesi mentre portano benefici ai consumatori del resto del mondo. Un studio recente, condotto dagli economisti Fabrice DeFever e Alejandro Riaño dell’Università di Nottingham, valuta le "perdite" in Cina intorno al 3% del reddito cinese, e gli utili per il resto del mondo a circa l’1% del reddito globale. Dal punto di vista mercantilista, tuttavia, questi sono semplicemente i costi per la costruzione di una moderna economia e per disposizione delle basi di una prosperità a lungo termine.
Come dimostra l’esempio delle sovvenzioni all’esportazione, i due modelli possono coesistere felicemente nell’economia mondiale. I liberisti dovrebbero essere felici che il loro consumo sia sovvenzionato dai mercantilisti.
In effetti, in estrema sintesi, questa è la storia degli ultimi sessant’anni: un susseguirsi di paesi asiatici che sono riusciti a crescere a passi da gigante, applicando diverse varianti del mercantilismo. La maggior parte dei governi dei paesi ricchi, hanno guardato dall’altra parte mentre il Giappone, la Corea del Sud, Taiwan e la Cina hanno protetto i loro mercati nazionali, hanno assunto il controllo della "proprietà intellettuale", hanno sovvenzionato i loro produttori e gestito le loro valute.
Siamo ora giunti alla fine di questa convivenza felice. Il modello liberista si è gravemente offuscato, a causa della crescita delle disuguaglianze e delle condizioni della classe media in Occidente, insieme alla crisi finanziaria generata dalla deregolamentazione. A medio termine, le prospettive di crescita per l’economia americana ed europea, oscillano tra il moderato e il desolante. Per i politici la disoccupazione resta uno dei maggiori grattacapi e fonte di preoccupazione. Quindi, nei paesi avanzati, le pressioni mercantilistiche probabilmente si intensificheranno.
Di conseguenza, il nuovo ambiente economico produrrà più tensione che distensione tra i paesi che perseguono il percorso liberista e quello mercantilista. Potrebbe anche riaccendere il dibattito a lungo dormiente sul tipo di capitalismo che produce la maggiore prosperità.



 

Dani Rodrik

Dani Rodrik è professore di Economia Politica Internazionale presso la Kennedy School of Government dell'Università di Harvard e leader studioso della globalizzazione e sviluppo economico. Il suo libro più recente è The Globalization Paradox: Democracy and the Future of the World Economy.


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