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lunedì 9 luglio 2012

L'Italia è un paese con cittadini che VOGLIONO lavorare in nero.

Scusate lo sfogo. Leggo spesso il vostro blog e seguo con attenzione molte delle tematiche che trattate. Ho un'azienda da molti anni, forse, ahimè ultimamente mi ritrovo a pensare, da TROPPI anni.
Abbiamo oggi ma da sempre governi che lamentano una quota enorme di PIL non emerso e ognuno inventa ricette più o meno originali.
Sorvolo su quelle che il nostro attuale super-presidente-del-consiglio sta sperimentando sulla nostra pelle, perchè ciò che ho da dire non ha nulla a che vedere con la politica.
Ieri, e per l'ennesima volta, mi sono ritrovato a dover discutere con una candidata per una posizione impiegatizia da inserire in azienda regolarmente, con un contratto di assunzione. Ma se l'avessi assunta con uno stipendio regolare, avrebbe perso la disoccupazione e, quindi, ha deciso di rinunciare al lavoro che le offrivo. Cosa dire? Cosa pensare?
Non elenco inoltre la quantità di colloqui che faccio giornalmente per cercare di potenziare la mia rete vendita, potendo assicurare un portafoglio clienti su una zona sulla quale sono conosciuto e lavoro bene da sempre, eppure anche chi si propone come commerciale vuole lo stipendio fisso, benefit a non finire, potersi far cadere la penna alle 17.00 e avanti cosi con richieste non supportate da fatti, da azioni, da storia professionale né da competenze... Oggi sembra che la laurea dia solo diritti e che lo stipendio (non il lavoro ma il salario) sia una diretta e indissolubile conseguenza.

Se questo è ciò che il nostro stato sociale ha prodotto, se le garanzie e le tutele per chi si trova in mezzo ad una strada dall'oggi al domani hanno generato una popolazione di terroristi-lavoratori, che non accettano l'inquadramento per non perdere la disoccupazione, che non accettano il contratto per poterti fare causa appena il lavoro diminuisce o quando si dimostrano incapaci di perseguire il bene dell'azienda, se questo -ripeto- è lo Stato nel quale noi imprenditori dobbiamo continuare ad investire, con i giudici giuslavoristi che ci guardano con il sangue agli occhi, forse dobbiamo per la prima volta davvero acquisire la consapevolezza non di essere da soli -perchè questa ce l'abbiamo da sempre- ma di essere in guerra. La Germania, l' Europa, l'euro, la concorrenza asiatica.. tutto questo non ci spaventa: il lavoro duro lo conosciamo e non ci ha mai fatto paura, ma se dobbiamo pagare sempre noi, di tasca nostra e con la nostra schiena, allora forse questo è un paese in cui i cittadini hanno bisogno di una lunga carestia, di un lungo percorso di sofferenze e sacrifici obbligati, di pane e acqua, di mangiare le radici colte nei campi... perchè è l'unica strada temo per capire cosa significhi lavorare e che guadagnare è strettamente legato al concetto di scambio, che il nostro stato sociale, gonfiando di benessere vuoto la società, ha completamente stravolto e privato di significato.

Grazie per lo spazio che vorrete dedicarmi, il vostro fedelissimo imprenditore disilluso.


1 commento:

buon commerciale ha detto...

bhe, che dire di uno sfogo capibile di questo imprenditore... che chi chiede una sicurezza nel lavoro, e quindi nello stipendio, forse è un giovane che cerca di costruirsi un futuro... oppure si tratta di una persona che ha fatto un percorso d'esperienza ma ora si trova a spasso ma deve mantenere dei figli e pagare un mutuo... si dirà che il lavoro, non lo stipendio, garantisce l futuro... certo un'impiegata che rifiuta uno stipendio per mantenere la disoccupazione non ha capito un cavolo!!! ma il commerciale che chiede sicurezza è una persona e non un numero che deve solo produrre fatturato... quando tutto va bene tutto è ok ma non appena non si è in grado di produrre il fatturato richiesto, sto pensando a ragioni concrete non ai nullafacenti che andrebbero rieducati, si viene espulsi e allora il mutuo chi lo paga???