Prendo spunto da un vespaio sollevato di recente durante una riunione con i responsabili della forza vendita di un negozio di abbigliamento di alta gamma: in una fase di inattività dovuta alla stagionalità delle vendite in quel settore, ho proposto di ampliare i compiti delle commesse alle pulizie.
Sì, lo confermo: vere e proprie pulizie! pavimento, vetri, vetrine, spolverare gli scaffali… sembrava volessi far risparmiare alla proprietà un paio di fatture dell’impresa di pulizie e dall’altra trasformare delle professioniste della gestione del cliente in Cenerentole dei nostri tempi da precari!
Non è solo una questione di punti di vista, o meglio: riuscire a far cambiare la prospettiva dalla quale si guarda alla dubbiosa funzionalità manageriale delle pulizie del negozio significa far realizzare un vero e proprio SALTO DI PARADIGMA; significa iniziare a vedere dentro alle attività anziché osservarne solo la superficie; significa capire perché ci sono aziende che lavorano unite e compatte verso un unico obiettivo e altre che navigano a vista secondo un confuso ordine del giorno che vale fino al tramonto del sole.
La differenza tra un’azienda e l’altra sta nella capacità di far passare la concretezza di ciò che vogliamo ottenere dal nostro lavoro e da quello dei nostri collaboratori.
Se i nostri collaboratori non seguono le direttive, non eseguono ciò che chiediamo loro di fare, se si limitano ad osservare i problemi senza impegnarsi a risolverli forse è perché non hanno chiaro il L’OBIETTIVO FINALE DEL LORO LAVORO, cioè è perché non siamo stati in grado di comunicare loro con chiarezza che cosa ci aspettiamo dalle loro 40 ore settimanali.
Se il mansionario sottintende nel livello contrattuale al quale ho deciso di inquadrarlo tutti i compiti che il mio collaboratore deve svolgere, sarò sempre a rincorrere lui e ciò che non svolge, sarà maggiore il cruccio per tutto ciò che non considera all’interno delle sue responsabilità di quanto potrà mai essere grande la soddisfazione per la buona esecuzione di tutto quanto sto dando per scontato.
Come faccio a realizzare questo salto qualitativo? Come posso rendere autonomi i miei collaboratori in modo che gestiscano la parte di azienda che è loro affidata come se fosse davvero LORO? Come faccio a diventare un titolare o un manager soddisfatto??!
Per ottenere tutto ciò devo riuscire ad abbattere e a far abbattere un limite culturale che sic stantibus rebus sembra invalicabile: è davvero incontrovertibile la tendenza a individuare le proprie mansioni partendo dalla targhetta che mi hanno affisso alla porta? È davvero efficace spiegare i compiti del collaboratore partendo da ciò che è, dal ruolo che ricopre?
Ognuno di noi, se nel lavoro o nella vita privata gestendo i propri figli, ha mai provato con successo a ottenere un risultato importante partendo dalla mera lista delle attività legate ad un ruolo o ad una posizione, può considerarsi fortunato.
Il salto di paradigma si realizza nel momento in cui è inequivocabilmente chiaro il risultato che io o il mio collaboratore dobbiamo ottenere dal nostro lavoro.
Con questa prospettiva saprò con certezza che se voglio un’azienda florida dovrò non solo avere clienti che acquistano, ma che tornano ad acquistare e che sono quindi clienti soddisfatti, che parlano bene di me e mi procureranno così altri clienti.
Con questa prospettiva saprò che se voglio essere un manager efficace dovrò avere collaboratori che ottengono risultati, che crescono professionalmente, che si sentono in grado di svolgere il compito loro assegnato e che mordono il futuro per la voglia di arrivare: saranno collaboratori soddisfatti ai quali avrò dato strumenti per arrivare e che applicheranno ogni nuovo consiglio a scatola chiusa perché i precedenti sono stati efficaci.
Con questa prospettiva saprò addirittura gestire al meglio i miei fornitori, perché se si fideranno della mia parola, se la trattativa sarà sempre una vittoria per entrambe le parti, domani mi riserveranno un trattamento migliore di altri proprio nell’ottica della reciproca soddisfazione.
Ma torniamo al principio: perché far fare le pulizie? Solo perché svolgendo lavori “di fatica” i collaboratori saranno troppo stanchi per perdersi in chiacchiere e avrò qualche pettegolezzo in meno da gestire? Anche, ma non solo.
Perché lavorare in un ambiente pulito mi permette di accogliere il cliente in un ambiente favorevole e quindi la trattativa sarà più agevole. Perché tra i miei compiti di commessa c’è quello di fare in modo che il cliente sia a proprio agio e tra quelli di responsabile di negozio c’è quello di fare in modo che le mie migliori risorse facciano da traino a tutte le altre, che i malumori.. non ci sia il tempo di diffonderli, che i risultati di uno diventino la prospettiva allettante per tutti.
Sì, lo confermo: vere e proprie pulizie! pavimento, vetri, vetrine, spolverare gli scaffali… sembrava volessi far risparmiare alla proprietà un paio di fatture dell’impresa di pulizie e dall’altra trasformare delle professioniste della gestione del cliente in Cenerentole dei nostri tempi da precari!
Non è solo una questione di punti di vista, o meglio: riuscire a far cambiare la prospettiva dalla quale si guarda alla dubbiosa funzionalità manageriale delle pulizie del negozio significa far realizzare un vero e proprio SALTO DI PARADIGMA; significa iniziare a vedere dentro alle attività anziché osservarne solo la superficie; significa capire perché ci sono aziende che lavorano unite e compatte verso un unico obiettivo e altre che navigano a vista secondo un confuso ordine del giorno che vale fino al tramonto del sole.
La differenza tra un’azienda e l’altra sta nella capacità di far passare la concretezza di ciò che vogliamo ottenere dal nostro lavoro e da quello dei nostri collaboratori.
Se i nostri collaboratori non seguono le direttive, non eseguono ciò che chiediamo loro di fare, se si limitano ad osservare i problemi senza impegnarsi a risolverli forse è perché non hanno chiaro il L’OBIETTIVO FINALE DEL LORO LAVORO, cioè è perché non siamo stati in grado di comunicare loro con chiarezza che cosa ci aspettiamo dalle loro 40 ore settimanali.
Se il mansionario sottintende nel livello contrattuale al quale ho deciso di inquadrarlo tutti i compiti che il mio collaboratore deve svolgere, sarò sempre a rincorrere lui e ciò che non svolge, sarà maggiore il cruccio per tutto ciò che non considera all’interno delle sue responsabilità di quanto potrà mai essere grande la soddisfazione per la buona esecuzione di tutto quanto sto dando per scontato.
Come faccio a realizzare questo salto qualitativo? Come posso rendere autonomi i miei collaboratori in modo che gestiscano la parte di azienda che è loro affidata come se fosse davvero LORO? Come faccio a diventare un titolare o un manager soddisfatto??!
Per ottenere tutto ciò devo riuscire ad abbattere e a far abbattere un limite culturale che sic stantibus rebus sembra invalicabile: è davvero incontrovertibile la tendenza a individuare le proprie mansioni partendo dalla targhetta che mi hanno affisso alla porta? È davvero efficace spiegare i compiti del collaboratore partendo da ciò che è, dal ruolo che ricopre?
Ognuno di noi, se nel lavoro o nella vita privata gestendo i propri figli, ha mai provato con successo a ottenere un risultato importante partendo dalla mera lista delle attività legate ad un ruolo o ad una posizione, può considerarsi fortunato.
Il salto di paradigma si realizza nel momento in cui è inequivocabilmente chiaro il risultato che io o il mio collaboratore dobbiamo ottenere dal nostro lavoro.
Con questa prospettiva saprò con certezza che se voglio un’azienda florida dovrò non solo avere clienti che acquistano, ma che tornano ad acquistare e che sono quindi clienti soddisfatti, che parlano bene di me e mi procureranno così altri clienti.
Con questa prospettiva saprò che se voglio essere un manager efficace dovrò avere collaboratori che ottengono risultati, che crescono professionalmente, che si sentono in grado di svolgere il compito loro assegnato e che mordono il futuro per la voglia di arrivare: saranno collaboratori soddisfatti ai quali avrò dato strumenti per arrivare e che applicheranno ogni nuovo consiglio a scatola chiusa perché i precedenti sono stati efficaci.
Con questa prospettiva saprò addirittura gestire al meglio i miei fornitori, perché se si fideranno della mia parola, se la trattativa sarà sempre una vittoria per entrambe le parti, domani mi riserveranno un trattamento migliore di altri proprio nell’ottica della reciproca soddisfazione.
Ma torniamo al principio: perché far fare le pulizie? Solo perché svolgendo lavori “di fatica” i collaboratori saranno troppo stanchi per perdersi in chiacchiere e avrò qualche pettegolezzo in meno da gestire? Anche, ma non solo.
Perché lavorare in un ambiente pulito mi permette di accogliere il cliente in un ambiente favorevole e quindi la trattativa sarà più agevole. Perché tra i miei compiti di commessa c’è quello di fare in modo che il cliente sia a proprio agio e tra quelli di responsabile di negozio c’è quello di fare in modo che le mie migliori risorse facciano da traino a tutte le altre, che i malumori.. non ci sia il tempo di diffonderli, che i risultati di uno diventino la prospettiva allettante per tutti.
5 commenti:
...e poi diciamolo chiaramente...Il DURO LAVORO non ha mai ucciso nessuno anzi!
basta non esgerare se no corri il rischio di ritovarti da solo....
Magari prova a dare tu il buon esempio... prova a fare tu le pulizie... sicuramente i tuoi collaboratori l'apprezzeranno e ti seguiranno.
Leggendo questi commenti mi viene da sorridere: si, è vero, occorre dare l'esempo,nessuno muore più di fatica sul lavoro (nello sport può darsi) . Insistendo, è possibile trovarsi da soli. Ho lavorato 40 anni in ambiente siderurgico percorrendo tutta la gerarchia e ultimamente come responsabile della qualità di stabilimento, per seguire da vicino il problema non conformità, prima di entrare in ufficio passavo dal collaudo delle matasse (acciaio inox di elevato valore: per intenderci 4-5ooo€ e più per matassa) punto critico dove si decideva lo scarto o l'invio a magazzino. Dopo tante spiegazioni sulle tolleranze, sulla gravità delle anomalie superficiali, sui problemi che possono insorgere nell'impiego, sulle possibilità di riparazione localizzata e rendere vendibile le matasse, per DIMOSTRARE con quanta facilità si potesse "salvare" una matassa con anomalie saltuarie (tempo di riparazione da 5 a 10 minuti), mi sono messo a riparare personalmente il materiale appartato come difettoso durante il secondo turno e la notte. Dopo un paio d'anni di questa "musica" ho "allevato" tre squadrette (per i tre turni) in grado di avere questa sensibilità. Qual'è alla fine il mio convincimento? Si, occorre dare l'esempio DIMOSTRANDO in prima persona. Ma vi sembra normale che un quadro aziendale o un dirigente, si metta a fare il manovale inforcando guanti occhiali lima e mola per dimostrare e convincere che con un po' di buon senso, volontà, intelligenza, il risultato aziendale può migliorare? Vi sembra accettabile che come duemila anni fa il generale si metta alla testa dei suoi per trascinarli? Non vi sfiora il dubbio che mi abbiano seguito solo perchè la vergogna di non fare il proprio lavoro per pigrizia ha avuto il sopravvento? Chi ha vissuto nelle grandi aziende non può non aver notato che una consistente parte degli addetti non opera, non dico con entusiasmo (come sarebbe auspicabile in una società normale), con la necessaria serietà, responsabilità, iniziativa, intelligenza, collaborazione, condivisione degli obiettivi aziendali, ecc., ecc.??
Perchè persone che arrivano da altri Paesi invece sono motivate per crescere, imparare, fare, costruire ? Non vi sembra che dagli anni settanta in poi qualcosa non abbia indirizzato bene le coscienze del lavoratore dipendente e che questi problemi siano il risultato di tanto lavorio nelle teste delle persone?
Che cosa ci vuole ora per smuovere un po' la pigrizia di queste persone che cercano solo la sicurezza dello stipendio?
una riforma della legge sul lavoro che apra la strada a chi davvero ha voglia di lavorare, di contribuire in maniera importante al VALORE dell'azienda in termini non solo di qualità della vita all'interno ma soprattutto di valore economico della struttura, della sua spendibilità sul mercato. serve flessibiltà per poter lasciare a casa chi interpreta il lavoro come un diritto acquisito per costituzione, ma non ne ha l'etica. flessibilità totale, meno costi del lavoro... chi un collaboratore l'ha cercato, l'ha formato e l'ha pagato, difficilmente lo manda via anche dopo tanti fallimenti se ancora pensa che possa produrre qualcosa di buono. non parliamo di quelli bravi...!!! chi sta per strada è perchè non è in grado di dare valore aggiunto, nemmeno imparando. e se i nostri rappresentati al governo avessero lavorato con l'obiettivo di produrre qualcosa diverso da articoli per intellettuali, forse ci arriverebbero da soli...
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