Il futuro dell’innovazione risiede nel realizzare prodotti che creino maggiori opportunità, utilizzando meno risorse, e che quindi possano essere destinate a più persone. L’Italia ha il grande vantaggio strategico del design, ma deve investire di più sui giovani innovatori. C.K. Prahalad a colloquio con Franco Vergnano.
Ottimista (“Un leader deve esserlo per forza”), spesso controcorrente, quasi sempre “semplice” e lineare nel ragionamento senza mai essere banale o scontato, saggista fecondo, fautore del “sourcing” globale come chiave dello sviluppo e della crescita, tifoso di una forte “innovazione dal basso” e del design italiano accoppiato alle capacità ingegneristiche (“Tanto tempo fa ho insegnato in Olivetti”). È, anche, tutto questo mister Coimbatore Krishnarao Prahalad che ama farsi chiamare, più semplicemente, “CK”, consulente di management e docente di corporate strategy all’università del Michigan presso la Ross school of business. Dopo aver analizzato (in un famoso studio insieme a Gary Hamel) i principali cambiamenti avvenuti nella corporate strategy durante gli anni Ottanta, Prahalad è oggi considerato uno dei massimi pensatori di management viventi. Non per niente è stato tra gli ospiti d’onore, a Valencia, nel corso dell’annuale convegno mondiale di Hay Group, la società di consulenza di direzione che lavora a fianco dei leader delle organizzazioni per rendere possibile il cambiamento.
E anche in queste risposte, raccolte da “L’Impresa” a margine del suo intervento, non smentisce la fama di guru internazionale.
Professor Prahalad, lei sostiene che i Paesi poveri, concentrati nel Sud del mondo, possono diventare un grande bacino di sviluppo. Con la crisi di oggi, è ancora così?
Sì, certo.
Penso che sia uno dei mercati più grandi. Prendiamo ad esempio India e Cina. In queste nazioni, in cui la maggior parte della popolazione è povera, si sta stimolando la domanda interna.
Che sarà guidata dai meno fortunati, cioè proprio dalla base della piramide.
Le viene in mente qualche esempio?
Un caso di grande profittabilità per le aziende è quello delle reti wireless che stanno crescendo enormemente nell’Africa sub sahariana e nel sud, in India e in Cina. Nel subcontinente indiano si aggiungono 11 milioni di nuovi sottoscrittori del servizio ogni mese: appartengono tutti alla base della piramide.
Una società, Intel, che oggi vanta 100 milioni di clienti in India e che entro i prossimi tre anni pianifica di arrivare a 200 milioni. Queste sono le possibilità di crescita alla base della piramide. Un altro caso molto interessante è quello di Tata Nano, l’auto da duemila dollari.
I clienti hanno già anticipato alla società 600 milioni di euro per macchine che saranno consegnate nel 2010 e nel 2011. Nessun altro produttore mondiale di automobili ha il privilegio di raccogliere il denaro e poi avere due anni di tempo per evadere gli ordini. Questo può bastare a darci un’idea di come il mercato sia vivo, e in crescita.
Sinora l’innovazione partiva dagli Stati Uniti, raggiungeva l’Europa e il Giappone, e poi arrivava nei Paesi poveri. Ma oggi le rotte del Sud del mondo sono battute dagli innovation manager. Siamo di fronte a un’inversione di tendenza?
Quando ci si sposta verso i mercati emergenti, cioè verso la base della piramide, tutti i nostri assunti rispetto a prodotti e servizi debbono essere modificati.
Un esempio semplice: da molto tempo sono in commercio le apparecchiature Logiq per la diagnostica medica. La maggior parte di quelle vendute negli Stati Uniti erano prodotte da General Electric, pesavano 65 libbre, funzionavano a energia elettrica e lavoravano in massima parte da sole. Questo significa che consentivano di ottenere e leggere un’immagine diagnostica.
Agli ingegneri di Ge è stato chiesto di sviluppare un’apparecchiatura Logiq per il mercato indiano, cioè per pazienti poveri. Innanzitutto, nella maggior parte dell’India non c’è energia elettrica, e quindi il dispositivo doveva poter funzionare a batteria ed essere trasportabile: non poteva pesare 65 libbre. Ne hanno così costruito una versione del peso di appena sette libbre.
Poi hanno scoperto che non bastava poter leggere l’immagine diagnostica dove si trovava il paziente: qualche volta il personale paramedico non era in grado di decodificarla. È nata l’esigenza di poter inviare l’immagine a un centro dove esperti potessero “leggerla”, stilare il referto e fare la diagnosi. A questo punto abbiamo aggiunto un sistema wireless e abbiamo così ottenuto un dispositivo Logiq in rete, portatile, a batteria, dal costo di 200 dollari, rispetto al modello da 10mila dollari del peso di 65 libbre, che lavorava in autonomia.
Innovazioni simili a questa possono muovere solo dalle nazioni povere verso quelle ricche. Il dispositivo Logiq è stato sviluppato dal team Ge di Cina e India.
Nel libro The new age of innovation, lei ha scritto che non è più sufficiente tagliare i costi, ma dobbiamo ripensare il nostro modo di “creare valore”.
Ci dice quali sono le sue ricette, e le sue strategie, per l’innovazione?
Se si guarda al singolo volume, i miei libri sembrano tutti molto diversi, ma prendendo in considerazione Competing for the future, The future of competition, The fortune at the bottom of the pyramid e The new age of innovation possiamo trovare quattro linee guida, quattro macro-temi.
Qual è il primo?
Quello dell’importanza della condivisione tra individui e team, cioè la co-creazione. Ho innanzitutto analizzato i dipendenti, in termini di fonte di vantaggio competitivo, cioè di co-creazione, e poi ho proseguito con i clienti, negli stessi termini, e parland anche qui di co-creazione.
Si arriva così al tema dell’importanza degli individui, del guardarli come portatori di unicità, invece che come numeri di previdenza sociale.
Passiamo al secondo tema.
È strettamente collegato al primo: si tratta della continua ricerca di fonti di vantaggio competitivo. Inizialmente, in Competing for the future ho trattato la creazione di prodotti e servizi migliori.
Come ottenere vantaggi differenziali attraverso l’unicità, e la co-creazione, questo è stato approfondito in Future of competition. Come localizzare nuove opportunità di crescita, attraverso nuove fonti di crescita e profitto, questo è stato dettagliato in Bottom of the pyramid.
Un altro punto chiave credo si chiami “innovation”, declinata in vari modi, un tema a lei molto caro..
Certamente.
Specie l’innovazione a basso costo, basso rischio ed elevato impatto, facendo leva sulle competenze di base, sui nuovi prodotti e sui mercati alla base della piramide, collaborando con i clienti per ridurre il rischio, ottenere spunti per altri articoli.
Passiamo all’ultimo argomento chiave.
È quello delle dinamiche mondiali. Ognuno dei miei libri copre tutte e quattro queste tematiche, ma con un diverso focus.
Come in un caleidoscopio, l’immagine è comune, ma approcciata da diverse prospettive, sembra diversa.
Che cosa ne pensa dell’ossimoro chiamato “mass customization”? È ancora valido?
Secondo me è un concetto superato. Il termine “mass customization” faceva riferimento a un’azienda e al suo sviluppo di numerose opzioni di prodotto tra le quali il cliente poteva scegliere.
Ma il concetto di co-creazione è qualcosa di diverso, perché parte dall’assunto che il cliente sia il principale “problem solver”. Quello di “mass customization” era un punto di vista azienda-centrico, per questo molto diverso da quello di co-creazione.
( Tratto da "L' impresa" 8/09)
Nessun commento:
Posta un commento