di Paola Danese
Sto viaggiando su un frecciarossa e l'occhio mi cade su annuncio in cui Trenitalia ringrazia i propri clienti per aver scelto di viaggiare con lei.
Ricordo la rivoluzione culturale che ha scatenato l'ex nuovo ad di Trenitalia, quando tolse l'orribile "viaggiatore" e lo sostituì con "cliente".
Sembra una questione di pelo di crine, in realtà viviamo da tempo in una società che ha maturato un rapporto stretto tra il nome delle cose e la loro sostanza.
Qualche giorno fa, era ancora la settimana pre-Befana e quindi l'Italia galleggiava in quello stato di trance festiva che qui blocca la produttività per due settimane in inverno e quattro in estate e mi recavo all'ufficio postale assegnato al mio C.A.P. (pur avendo un ufficio postale centrale a un isolato da casa mia, ci hanno assegnato ad uno a 2 km da casa e non servito dai mezzi pubblici) per ritirare una raccomandata. L'ufficio postale assegnato al mio quartiere normalmente fa orario continuato dalle 7.30 alle 18.00 dal lunedì al venerdì e fino alle 13.30 il sabato.
Arrivo alle 14 di martedì 02 gennaio e lo trovo chiuso perché nella "settimana che va dal 23 dicembre al 9 gennaio" (sic, nonostante per gli altri esseri umani le settimane in questione siano due) "gli uffici rispetteranno l'orario ridotto" e cioè fino alle 13.30. Ora la maggior parte di voi penserà che è giusto che prendano qualche giorno di ferie anche i nostri 3 milioni di dipendenti pubblici, soprattutto quelli delle poste che lavorano ininterrottamente, causa code interminabili davanti ai loro sportelli dall'inizio del turno fino a termine. È certamente un pensiero umano e corretto e nonostante i 2km percorsi inutilmente, me ne torno a casa pensando che probabilmente l'afflusso è talmente scarso che di questi tempi l'amministrazione pubblica cerca di contenere gli sprechi ( e fa sprecare a me il carburante per andare e tornare a vuoto, ma vabbe!).
Il giorno dopo mi presento in orario, rilassata e fiduciosa nelle ferie del bolognese medio che parte il 24 e torna per l'apertura della scuola. Invece guarda un po’, sarà la crisi ma l'ufficio postale, stanza delle raccomandate, nonostante i 3 impiegati allo sportello interamente dedicati, è affollatissimo: 40 numeri davanti a me...
Mi siedo e aspetto paziente meditando che probabilmente l'amministrazione non voleva risparmiare ma evitare di diseducare i suoi utenti (come sono definiti quelli che, in coda, non devono superare la linea gialla e sono tenuti a chiudere l'eventuale conversazione telefonica nel momento in cui arrivano allo sportello per non disturbare il dipendente pubblico nello svolgimento del proprio lavoro) al disservizio classico della mezz'ora di attesa quindi, anziché spalmare l'afflusso di questuanti durante l'intero arco della giornata, hanno deciso di concentrarlo nella sola mattinata cosi la fila è assicurata.
Non importa, ormai sono seduta sulla mia sediolina in attesa del mio turno che, giocando a sudoku, non tarda nemmeno troppo ad arrivare, giusto due livelli genius (e non essendo io un genio, il mio tempo medio di risoluzione è di 15 minuti...). Arriva il mio fatidico 397 e mi alzo, con telefono silenzioso per ritirare la mia raccomandata. Visto che sulla cartolina scritta a mano, il postino che nutriva la mia stessa voglia di ferie quando l'ha lasciata in buchetta, ha scritto solamente nome e cognome senza indirizzo, l'impiegato torna da una prima ricerca un po’ sconsolato, essendo andata a vuoto. Gli do l'indirizzo completo di C.A.P. e ridendo mi dice che sospetta sia finita proprio nell'ufficio postale sotto casa mia! Che ridere, davvero... Da sbellicarsi. Gli chiedo ci controllare meglio e inserendo il numero della raccomandata nel gestionale interno vede che è proprio cosi: la mia raccomandata è nell'ufficio postale a 10 passi da casa mia.
Ovviamente, non avendomi l'impiegato permesso di essere davvero "utente" mi sono permessa di fare la cliente elencando una serie di improperi sui quali possiamo sorvolare per non dilungarci troppo.
L'impiegato però è fresco di corsi sul problem solving e mi propone di scrivermi a mano sulla cartolina che, proprio a causa di questo disguido, ho DIRITTO di ritirare la mia raccomandata allo sportello SENZA fare ulteriore fila... Non so se più per senso civico che mi impediva di passare davanti ad altri malaugurati concittadini, o per dimostrargli che il suo corso lo doveva utilizzare in vacanza con la famiglia dopo essere stato dirottato in Alaska anziché atterrare alle Bermuda, me ne vado con la cartolina linda all'ufficio sotto casa dove:
1) non trovo fila nonostante ci sia una sola persona addetta alla consegna delle raccomandate;
2) trovo davvero la mia raccomandata;
3) trovo anche lì comunque un impiegato fresco di corso di problem solving che mi spiega, orgoglioso della high technolgy di poste italiane, che non solo la mia raccomandata era stata smistata lì per errore da un simpatico postino, ma che nell’ottica del problem solving anticipato- per evitare che ricapiti posso prendere il simpatico numerino che c'è sulla cartolina -che è l'identificativo della raccomandata- inserirlo sul sito internet delle poste italiane e verificare dove il postino ha deciso di smistarla...
Ora io mi chiedo: è vero che sono utente nel senso che utilizzo un servizio e che, di fatto, non ho alternative, nel senso che devo essere utente per forza e mio malgrado, ma posso essere anche cliente?!
Cioè, qualcuno può far fare agli impiegati delle poste un corso anziché di problem solving operativo, di cultura generale in cui gli si spiega che offrono un servizio e che al centro di quel servizio c'è il cittadino, ovvero il contribuente, ovvero quello stronzo che tutte le mattine si alza, va a lavorare per pagare le tasse (e vivere con quel che gli avanza), che vanno a ingrassare i TRE MILIONI di dipendenti pubblici che lo considerano un utente?!?
Sto viaggiando su un frecciarossa e l'occhio mi cade su annuncio in cui Trenitalia ringrazia i propri clienti per aver scelto di viaggiare con lei.
Ricordo la rivoluzione culturale che ha scatenato l'ex nuovo ad di Trenitalia, quando tolse l'orribile "viaggiatore" e lo sostituì con "cliente".
Sembra una questione di pelo di crine, in realtà viviamo da tempo in una società che ha maturato un rapporto stretto tra il nome delle cose e la loro sostanza.
Qualche giorno fa, era ancora la settimana pre-Befana e quindi l'Italia galleggiava in quello stato di trance festiva che qui blocca la produttività per due settimane in inverno e quattro in estate e mi recavo all'ufficio postale assegnato al mio C.A.P. (pur avendo un ufficio postale centrale a un isolato da casa mia, ci hanno assegnato ad uno a 2 km da casa e non servito dai mezzi pubblici) per ritirare una raccomandata. L'ufficio postale assegnato al mio quartiere normalmente fa orario continuato dalle 7.30 alle 18.00 dal lunedì al venerdì e fino alle 13.30 il sabato.
Arrivo alle 14 di martedì 02 gennaio e lo trovo chiuso perché nella "settimana che va dal 23 dicembre al 9 gennaio" (sic, nonostante per gli altri esseri umani le settimane in questione siano due) "gli uffici rispetteranno l'orario ridotto" e cioè fino alle 13.30. Ora la maggior parte di voi penserà che è giusto che prendano qualche giorno di ferie anche i nostri 3 milioni di dipendenti pubblici, soprattutto quelli delle poste che lavorano ininterrottamente, causa code interminabili davanti ai loro sportelli dall'inizio del turno fino a termine. È certamente un pensiero umano e corretto e nonostante i 2km percorsi inutilmente, me ne torno a casa pensando che probabilmente l'afflusso è talmente scarso che di questi tempi l'amministrazione pubblica cerca di contenere gli sprechi ( e fa sprecare a me il carburante per andare e tornare a vuoto, ma vabbe!).
Il giorno dopo mi presento in orario, rilassata e fiduciosa nelle ferie del bolognese medio che parte il 24 e torna per l'apertura della scuola. Invece guarda un po’, sarà la crisi ma l'ufficio postale, stanza delle raccomandate, nonostante i 3 impiegati allo sportello interamente dedicati, è affollatissimo: 40 numeri davanti a me...
Mi siedo e aspetto paziente meditando che probabilmente l'amministrazione non voleva risparmiare ma evitare di diseducare i suoi utenti (come sono definiti quelli che, in coda, non devono superare la linea gialla e sono tenuti a chiudere l'eventuale conversazione telefonica nel momento in cui arrivano allo sportello per non disturbare il dipendente pubblico nello svolgimento del proprio lavoro) al disservizio classico della mezz'ora di attesa quindi, anziché spalmare l'afflusso di questuanti durante l'intero arco della giornata, hanno deciso di concentrarlo nella sola mattinata cosi la fila è assicurata.
Non importa, ormai sono seduta sulla mia sediolina in attesa del mio turno che, giocando a sudoku, non tarda nemmeno troppo ad arrivare, giusto due livelli genius (e non essendo io un genio, il mio tempo medio di risoluzione è di 15 minuti...). Arriva il mio fatidico 397 e mi alzo, con telefono silenzioso per ritirare la mia raccomandata. Visto che sulla cartolina scritta a mano, il postino che nutriva la mia stessa voglia di ferie quando l'ha lasciata in buchetta, ha scritto solamente nome e cognome senza indirizzo, l'impiegato torna da una prima ricerca un po’ sconsolato, essendo andata a vuoto. Gli do l'indirizzo completo di C.A.P. e ridendo mi dice che sospetta sia finita proprio nell'ufficio postale sotto casa mia! Che ridere, davvero... Da sbellicarsi. Gli chiedo ci controllare meglio e inserendo il numero della raccomandata nel gestionale interno vede che è proprio cosi: la mia raccomandata è nell'ufficio postale a 10 passi da casa mia.
Ovviamente, non avendomi l'impiegato permesso di essere davvero "utente" mi sono permessa di fare la cliente elencando una serie di improperi sui quali possiamo sorvolare per non dilungarci troppo.
L'impiegato però è fresco di corsi sul problem solving e mi propone di scrivermi a mano sulla cartolina che, proprio a causa di questo disguido, ho DIRITTO di ritirare la mia raccomandata allo sportello SENZA fare ulteriore fila... Non so se più per senso civico che mi impediva di passare davanti ad altri malaugurati concittadini, o per dimostrargli che il suo corso lo doveva utilizzare in vacanza con la famiglia dopo essere stato dirottato in Alaska anziché atterrare alle Bermuda, me ne vado con la cartolina linda all'ufficio sotto casa dove:
1) non trovo fila nonostante ci sia una sola persona addetta alla consegna delle raccomandate;
2) trovo davvero la mia raccomandata;
3) trovo anche lì comunque un impiegato fresco di corso di problem solving che mi spiega, orgoglioso della high technolgy di poste italiane, che non solo la mia raccomandata era stata smistata lì per errore da un simpatico postino, ma che nell’ottica del problem solving anticipato- per evitare che ricapiti posso prendere il simpatico numerino che c'è sulla cartolina -che è l'identificativo della raccomandata- inserirlo sul sito internet delle poste italiane e verificare dove il postino ha deciso di smistarla...
Ora io mi chiedo: è vero che sono utente nel senso che utilizzo un servizio e che, di fatto, non ho alternative, nel senso che devo essere utente per forza e mio malgrado, ma posso essere anche cliente?!
Cioè, qualcuno può far fare agli impiegati delle poste un corso anziché di problem solving operativo, di cultura generale in cui gli si spiega che offrono un servizio e che al centro di quel servizio c'è il cittadino, ovvero il contribuente, ovvero quello stronzo che tutte le mattine si alza, va a lavorare per pagare le tasse (e vivere con quel che gli avanza), che vanno a ingrassare i TRE MILIONI di dipendenti pubblici che lo considerano un utente?!?
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