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mercoledì 24 novembre 2010

Lavoro, dove è ereditario

di Renzo Rosati

Sono quasi 3 mila e il loro merito è di avere un papà o una mamma che lavora in banca. Più, ma non sempre, una laurea e la conoscenza dell’inglese. Due caratteristiche comuni, se non a quel 25 per cento di giovani che secondo le statistiche sarebbero in attesa di lavoro, almeno ai 160 mila che ogni anno escono all’università e che il lavoro lo cercano di sicuro. Ebbene, per quella minoranza la corsia di sorpasso è garantita. Basta che i genitori siano per esempio dipendenti di Unicredit o Intesa Sanpaolo, le due principali banche italiane, e accettino di andare in pensione. Ma anche di Banca popolare di Milano, Monte dei Paschi di Siena, Ubi banca, Banco popolare, Banca di credito cooperativo di Roma.
Se questi padri e madri hanno accettato negli ultimi mesi la proposta di esodo incentivato, tra i benefit ci sarà anche l’assunzione, con varie modalità, dei figli. Una pratica nota come parental recruiting e un tempo diffusissima, anche all’estero, che in tempi di crisi fa discutere imprenditori, sindacalisti e politici. In modo bipartisan. Per il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, un paracadute familiare può essere benvenuto per risolvere qualche problema ai giovani, alle aziende e ovviamente ai sindacati. Susanna Camusso, nuovo segretario generale della Cgil, è invece contraria: «Così si blocca la meritocrazia» dice. «E poi che fine fanno i precari in lista di attesa?».



Pietro Ichino, senatore del Pd e autore di molte proposte riformatrici del mercato del lavoro, parla di «tipica manifestazione del regime di job property che oggi caratterizza il nostro Paese. Poiché il posto di lavoro è oggetto di diritto di proprietà, pare giusto che lo si possa lasciare in eredità a un figlio o nipote». E con Ichino si scandalizza, dal Pdl, il ministro della Gioventù Giorgia Meloni: «È incredibile che in certi statuti o accordi si dia ancora priorità all’assunzione dei figli dei dipendenti. Ed è assurdo che i sindacati siano d’accordo: dov’è la meritocrazia?».

Dal fronte imprenditoriale, che dedica all’ingessatura nel mercato del lavoro convegni su convegni, giunge a sorpresa la benedizione di Alberto Bombassei, proprietario della Brembo, azienda leader nei freni per auto e moto, con 5.500 dipendenti e 18 filiali dalla Germania alla Cina. «Ereditare il lavoro? È bello» dice Bombassei. «Un padre serio non raccomanda un figlio che non lo sia rischiando carriera e reputazione».

Bombassei, però, è vicepresidente della Confindustria proprio per i rapporti sindacali. «Parlo per la mia azienda, dove la staffetta padre-figlio si fa, anche se non codificata: da noi lavorano già padri, madri, mariti, mogli, fratelli e sorelle. Un tempo ci rivolgevamo al parroco: quello era il test. Era nella tradizione della grande industria, quando ancora si poteva parlare di fabbrica-paese. Oggi trasmettere il lavoro al figlio è un ammortizzatore sociale, per incentivare gli esodi. Un giovane costa meno, è ovvio; ma è anche solidarietà fra generazioni».

Di fatto molte aziende fanno o hanno fatto come la Brembo. La stessa Fiat nel 2006, già nell’era Sergio Marchionne, contemplava 636 borse di studio per figli di dipendenti finalizzate (per tre quarti all’estero) all’assunzione. Ancora oggi nello stabilimento di Betim in Brasile, dove la Fiat è leader di mercato, il canale familiare è il più praticato. Mentre alla Ferrari è l’Ipsia, istituto professionale statale fondato dal Drake, frequentato in gran parte da figli di dipendenti, a fornire circa 25 stagisti l’anno e 15 neoassunti per il Cavallino. «Certo» dicono a Maranello «gli studenti sono 600 e posto per tutti non c’è; ai tempi di Enzo Ferrari la scuola, privata, era l’anticamera diretta dell’assunzione».

Nel caso delle banche siamo di fronte a protocolli sindacali precisi e quote riservate. E gli ultimi accordi li hanno sottoscritti tutte le sigle aziendali e di categoria, Cgil compresa. Il contratto sugli esuberi raggiunto il 20 ottobre dal nuovo vertice dell’Unicredit assegna il diritto ereditario a circa 1.200 figli di, assieme alla stabilizzazione di 1.700 precari. Mentre il protocollo del 26 giugno 2009 alla Banca popolare di Milano stabilisce che i 515 dipendenti in esubero, oltre a quattro mesi di bonus e all’accesso al fondo di solidarietà che integra l’assegno Inps fino al 95 per cento della retribuzione, ottengano «la testatura del figlio con esito di idoneità». Se per caso la «testatura» non andasse a buon fine o l’erede rinunciasse, il bonus salirebbe a sette mensilità.

A fare da battistrada all’ultima ondata di accordi sindacali è stata la Banca di credito cooperativo di Roma: per 76 dipendenti c’è la scelta fra incentivo in denaro e assunzione del figlio. Spiega il presidente Francesco Liberati: «L’articolo 2 del nostro statuto prevede che si favoriscano i soci e gli appartenenti alla comunità locale. Del resto i nostri soci-dipendenti per il 90 per cento sono figli di chi ha lavorato o lavora qui dentro».

Anche lì c’è la firma della Cgil aziendale, benché sconfessata dalla confederazione. Sia la Bcc romana sia la milanese Bpm applicano regole risalenti all’origine cooperativa. Come, in forme diverse, il Monte dei Paschi: che nel 2009, a fronte di 600 esuberi con scivolo di 5 anni, ha deliberato «100 nuove assunzioni tramite scorrimento delle graduatorie di figli di dipendenti di Siena (80) e Grosseto (20)». Mentre l’Intesa Sanpaolo ha sperimentato già nel 2006 la staffetta padri-figli: su 390 nuovi assunti a fronte di 3.900 esodi, i posti per eredi sono stati 213. Quanto alla Banca d’Italia, dove si entra per concorso, il regolamento assegna per il 5 per cento dei posti la precedenza (ma va superata la prova) a orfani e vedove di dipendenti morti per servizio e a orfani e figli di ex dipendenti «cessati per infortunio, malattia o domanda di inabilità».

Ma il colpaccio lo avrebbero messo a segno alle Poste, se non si fosse bloccato il «progetto Mix», poi ribattezzato «progetto Svincolo», per l’assunzione a tempo indeterminato e part-time di 2-3 mila figli di dipendenti in prepensionamento. Unici requisiti, il diploma ed età massima di 30 anni, oppure la laurea e 35. Gli eredi avrebbero occupato lo stesso posto e la stessa sede dei genitori e, in caso di padre e madre entrambi impiegati, il diritto valeva per due. Il progetto Svincolo è congelato dopo la marcia indietro della Slc-Cgil, ma l’amministratore delegato Massimo Sarmi non l’ha riposto, dopo che i suoi uffici hanno attentamente studiato come evitare l’articolo 19 della manovra 2009 del governo, che prevede per le aziende pubbliche le regole di assunzione dell’ente maggiore azionista: in questo caso Tesoro e Cassa depositi e prestiti, dove il parental recruiting non è previsto.

Il timore, anche del governo, è che le Poste spianino la strada ad altri: un piano simile sarebbe pronto all’Enel. Mentre alle Ferrovie, dove la pratica è stata in auge per decenni, l’amministratore delegato Mauro Moretti (anche lui figlio di ferroviere) è contrario. E dire che all’estero il parental recruiting trova nelle ferrovie le applicazioni più ingegnose. In vigore nelle Sncf francesi, si affina nelle Sncb belghe: ai 38 mila dipendenti da settembre 2010 a giugno 2011 viene offerto un premio di 500 euro se raccomandano un parente, purché superi il periodo di prova. Dov’è l’inghippo? Entro 10 anni metà personale andrà in pensione e l’azienda vuole la pace sindacale. Del resto in Belgio fanno così, nel privato, la Cisco e la banca Fortis (salvata dal governo). In Germania la Volkswagen prevede lo scambio padri-figli con accordi nei land.

Perfino negli Usa la pratica era accettata quando i sindacati dell’auto (Uaw) e dei trasporti (Twu) erano all’apice del potere. Resiste in Giappone con i big dell’auto; i quali però in America puntano sulle fabbriche di stati come Alabama, Tennessee e South Carolina, dove l’iscrizione al sindacato non è obbligatoria. Insomma, la crisi cambia il mondo, ma non le banche italiane. Commenta l’economista Tito Boeri: «Chi ha il genitore bancario, anche se è capra, campa. Senza bancario in famiglia, anche se non è capra, crepa».

(Da Panorama Economy del Novembre 2010)

1 commento:

pinopi ha detto...

Alla Camusso mi piacerebbe chiedere se il suo sindacato ha fatto autocritica riguardo alla MERITOCRAZIA che non ha mai applicato dagli anni sessanta in poi. Io in quaranta anni ho solo subito il disconoscimento del merito, della professionalità, della responsabilità, gli effetti dell'eliminazione della regionalizzazione dello stipendio, degli aumenti contrattuali uguali per tutti, della contingenza uguale per tutti, della lotta di classe contro il capo, il padrone. Perchè la CGIL non ha di fatto mai rispettato il famoso rapporto 100/200 sancito dal contratto metalmeccanici dalla stessa imposto? Io ho visto la difesa del pigro, dell'assenteista, del lavativo, dell'irresponsabile. Ho solo visto una FIOM che condiziona la CGIL, una CGIL che condiziona un PCI, DS, o come cavolo si chiamerà in futuro questo partito che non ha ancora capito come camuffarsi, un partito che condiziona tutti gli altri. E via di questo passo. Ma, di grazia, da quando ha scoperto il MERITO la signora Camusso. E perchè allora si fa ancora condizionare da chi il MERITO non l'ha mai riconosciuto. Signora Camusso, lei è come gli altri che l'hanno preceduta e per stare li deve mantenere il consenso dei pigri, degli amanti del posto sicuro fondato sull'articolo 18 così come viene interpretato dalla magistratura compiacente. Ma vada a farsi un giro!