di Renzo Rosati
Sono quasi 3 mila e il loro merito è di avere un papà o una mamma che lavora in banca. Più, ma non sempre, una laurea e la conoscenza dell’inglese. Due caratteristiche comuni, se non a quel 25 per cento di giovani che secondo le statistiche sarebbero in attesa di lavoro, almeno ai 160 mila che ogni anno escono all’università e che il lavoro lo cercano di sicuro. Ebbene, per quella minoranza la corsia di sorpasso è garantita. Basta che i genitori siano per esempio dipendenti di Unicredit o Intesa Sanpaolo, le due principali banche italiane, e accettino di andare in pensione. Ma anche di Banca popolare di Milano, Monte dei Paschi di Siena, Ubi banca, Banco popolare, Banca di credito cooperativo di Roma.
Se questi padri e madri hanno accettato negli ultimi mesi la proposta di esodo incentivato, tra i benefit ci sarà anche l’assunzione, con varie modalità, dei figli. Una pratica nota come parental recruiting e un tempo diffusissima, anche all’estero, che in tempi di crisi fa discutere imprenditori, sindacalisti e politici. In modo bipartisan. Per il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, un paracadute familiare può essere benvenuto per risolvere qualche problema ai giovani, alle aziende e ovviamente ai sindacati. Susanna Camusso, nuovo segretario generale della Cgil, è invece contraria: «Così si blocca la meritocrazia» dice. «E poi che fine fanno i precari in lista di attesa?».