di Simone Perotti
Quel che ho provato quel 13 febbraio 2008, primo giorno da uomo libero, non si può facilmente descrivere. Leggerezza, forse, tremore, giramento di testa, come per problemi di altitudine, vuoto allo stomaco, spossatezza, seminfermità, desiderio di andare, bisogno di prendere fiato. Intorno avevo una bolla d’aria rarefatta. I miei alveoli mi parevano branchie, ma senz’acqua in cui succhiare. Eppure, questa sorta d’asfissia era benefica: la scoperta, per il pesce, che fuor d’acqua non moriva, neppure pativa, anzi nuotava per un’altra vita. Quando ho iniziato a lavorare credevo nell’impresa, mi sembrava una delle ruote dell’ingranaggio della società. Le imprese crescevano, creavano impiegati, li formavano, cittadini evoluti che davano il loro contributo. Però poi i grandi scandali, la corruzione su vasta scala, politica e imprenditoriale, Tangentopoli, Cirio, Parmalat, l’evidenza che parole come «human resources», «mission», «team building» erano abili etichette per coprire sfruttamento e aridità del sistema, beh, ecco, tutto questo mi ha messo in crisi. Essere quarantenni negli anni del crollo di valori e finanza si è rivelato durissimo. Quasi impossibile crederci davvero. Impossibile vedere nei prossimi anni lo stesso sviluppo che avevamo come carota qualche anno fa, mentre correvamo dietro al benessere. Meno posti, per meno gente, con meno benefici. E poi l’età, lo spietato momento che sempre giunge, quello in cui capisci i tuoi limiti, il livello oltre al quale non potrai mai andare. È stato questo, esattamente questo, il momento della crisi.
Quel che ho provato quel 13 febbraio 2008, primo giorno da uomo libero, non si può facilmente descrivere. Leggerezza, forse, tremore, giramento di testa, come per problemi di altitudine, vuoto allo stomaco, spossatezza, seminfermità, desiderio di andare, bisogno di prendere fiato. Intorno avevo una bolla d’aria rarefatta. I miei alveoli mi parevano branchie, ma senz’acqua in cui succhiare. Eppure, questa sorta d’asfissia era benefica: la scoperta, per il pesce, che fuor d’acqua non moriva, neppure pativa, anzi nuotava per un’altra vita. Quando ho iniziato a lavorare credevo nell’impresa, mi sembrava una delle ruote dell’ingranaggio della società. Le imprese crescevano, creavano impiegati, li formavano, cittadini evoluti che davano il loro contributo. Però poi i grandi scandali, la corruzione su vasta scala, politica e imprenditoriale, Tangentopoli, Cirio, Parmalat, l’evidenza che parole come «human resources», «mission», «team building» erano abili etichette per coprire sfruttamento e aridità del sistema, beh, ecco, tutto questo mi ha messo in crisi. Essere quarantenni negli anni del crollo di valori e finanza si è rivelato durissimo. Quasi impossibile crederci davvero. Impossibile vedere nei prossimi anni lo stesso sviluppo che avevamo come carota qualche anno fa, mentre correvamo dietro al benessere. Meno posti, per meno gente, con meno benefici. E poi l’età, lo spietato momento che sempre giunge, quello in cui capisci i tuoi limiti, il livello oltre al quale non potrai mai andare. È stato questo, esattamente questo, il momento della crisi.